domenica 18 settembre 2011

Come nel 1848 (di Giacomo Consalez)

Molti cittadini ed ex cittadini milanesi si aspettavano dalla giunta Pisapia il miracolo. Prendere 35 anni (almeno) di corruzione, affarismo, clientelismo, spartizione, nepotismo, consociativismo, e cancellare tutto con un colpo di spugna dando l'avvio alla Città Futura. Impossibile. Irragionevole aspettativa da parte di tutti noi elettori (inclusi gli astensionisti come me che hanno gioito per il declino della junta palazzinara precedente).


I partiti sono associazioni affaristiche di stampo clientelare. Non c'è nulla di nuovo, qualitativamente parlando. Quello che viviamo è il ritratto della politica come professione dipinto dai grandi sociologi del primo '900, Ostrogorsky e Weber in testa. È nella natura di una società in cui lo stato è sovrano totalitario incontrastato e il cittadino suddito impotente. I cittadini servono ai partiti per prolungare la pantomima della democrazia rappresentativa. Una volta eletti, i politici fanno i conti con un sistema che opera implacabilmente ad un livello più alto del loro. Coinvolge finanza, imprenditoria, società criminali che usano la politica per convogliare la forza del consenso, maggioritario tra la popolazione, nella direzione dell'interesse di pochissimi.


I partiti scambiano il proprio potere decisionale con i denari necessari allo spoils system, cioè alle carriere politiche dei propri sostenitori più prossimi e all'interesse economico delle proprie società massoniche di riferimento, si vedano in tal senso le coop e CL nell'area milanese. Consenso elettorale, tasse, imposte e sponsorizzazioni da parte dei "grandi elettori" dell'impresa assistita e della finanza, finiscono solo in parte a soddisfare i legittimi bisogni dei cittadini. Più spesso, questi soldi servono a tenere in piede il carrozzone clientelare che garantisce la rielezione e l'ampliamento della sfera politica d'influenza. Il sistema poggia su favori che i partiti fanno ai propri grandi referenti, ai propri sponsors, a danno dei cittadini, distorcendo le regole del mercato, distorcendo i criteri di merito, uccidendo la libera competizione, unica garante del contenimento dei costi del sistema, spendendo somme ingenti per opere di dubbia o nulla utilità, perché "altrimenti ci tocca pagare le penali". Non si può bloccare l'ingranaggio della spesa pubblica finalizzata al profitto privato. Neppure se il pubblico è prossimo alla fame. Il sistema ha le sue regole, che prescindono dall'utilità generale e dal consenso popolare. I partiti chiedono i voti ai cittadini per fare, volenti o nolenti, i comodi dell'impresa e della finanza assistita a danno dei cittadini stessi. I cittadini non hanno alcuna voce in capitolo circa le leggi di spesa, e i governanti si infastidiscono quando la cittadinanza ne contesta i criteri e le priorità, sconfinando oltre la delega in bianco conferita alla coalizione vincente ogni 5 anni. 


In un sistema di deleghe in bianco qualsiasi governo locale, anche quelli sedicenti liberisti, lavorerà per la dilatazione dei costi dello stato, per la moltiplicazione della folla dei clienti, a cui sarà dato sempre meno, mantenendo comunque, finché possibile, un controllo totale della loro allegiance politica. In un sistema di deleghe in bianco, non sono i poveri ad avere bisogno del governo, ma è il governo ad avere bisogno dei poveri, degli indigenti, dei disoccupati, della gente senza speranza e senza futuro: costoro sono ricattabili e forniscono una base di consenso. Così si formano le "città mondo" relegate nei quartieri poveri e degradati, ben distanti dall'agio ovattato dei visionari progressisti e benpensanti.  In un sistema di deleghe in bianco, l'interesse di lobbies compatte ed elettoralmente influenti prevarrà sempre sull'interesse generale, e prescinderà da esso.  Se il governo mollasse la presa, riducesse al minimo i propri costi, e liberasse le forze spontanee che emergono dalla società, la sua energia libera, la sua voglia di riscossa sociale, vigilando soltanto sul rispetto delle regole e del merito, a discapito della confraternita e del maneggio, il governo sarebbe ridimensionato a pura amministrazione pubblica, la sua vera e legittima dimensione, e perderebbe il potere e il profitto materiale o di rendita politica che ne deriva. In un sistema di deleghe in bianco, l'assenza di una alternativa reale tra le varie fazioni di governo costituisce il cemento di questo meccanismo. È il cemento consociativo.


Occorre svegliarsi, essere lucidi, capire. Occorre essere meno creduli e più reattivi. Occorre che i cittadini reclamino un potere sempre maggiore e non diano tregua o credito illimitato a nessun governo, locale o centrale, nemico o presunto amico. Occorre costruire le basi per cui democrazia sia, come da etimo, potere del popolo, non delega incondizionata alle confraternite politico-affaristiche. Occorre che il popolo possa promulgare, correggere o abrogare delibere e leggi, comprese le leggi di spesa, in diretta, in corso d'opera, senza aspettare la fine di una legislatura. In caso contrario, il sistema delle deleghe politiche si tradurrà sempre di più in una licenza a produrre danni incalcolabili, incrementali, irreversibili, fino al declino definitivo e irrimediabile della nostra società.


Thomas Jefferson, in una lettera datata 30 gennaio 1787 a James Madison, scrisse: «Malo periculosam libertatem quam quietam servitutem. Ritengo che qualche ribellione, di tanto in tanto, sia cosa buona e che sia necessaria al mondo politico quanto le tempeste lo sono a quello fisico. In genere le ribellioni fallite mettono in luce violazioni dei diritti del popolo che le hanno cagionate. Esse sono invero una medicina necessaria per la salute di tutti, prevengono la degenerazione del governo e aumentano l’attenzione per gli affari pubblici. I popoli non dovrebbero aver paura dei propri governi, sono i governi che dovrebbero aver paura dei propri popoli.»


Oggi occorre coraggio, coesione e forza di reazione, non fedeltà di scuderia. Come nella Milano del 1848 che seppe cacciare le forze di occupazione.

1 commento:

  1. Grazie Giacomo ! Chissà che gli italioti imbecilli non si diano una sveglia

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