N.B.
Relazione presentata brevi manu alla Camera (Montecitorio - Roma - lì, dicembre 2004).
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GE.FI.S.
Comitato
GENITORI di FIGLI SEQUESTRATI
Per la tutela della famiglia dove si impongono limiti ai rapporti fra il minore e uno o tutti i componenti del suo nucleo familiare.
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lunedì 25 ottobre 2004
AFFIDAMENTO E ADOZIONE DI MINORI
TRIBUNALI PER I MINORENNI E SERVIZI SOCIALI
(rif.ti legislativi: artt. 3, 31, 24, 111 Cost.; artt. 330, 333, 336 C.C.; L.848/55; L.184/83; L.176/91; L.285/97; L.328/00; L.149/01)
RELAZIONE
PREMESSA:
Nella consapevolezza di non essere né i primi e nemmeno gli unici ad esprimere alcune delle considerazioni di seguito trattate, sosteniamo categoricamente che i Tribunali per i Minorenni e i Servizi Sociali dei vari Comuni hanno commesso abusi di potere, inadempienze e illegalità, ai danni di interi nuclei familiari (minori compresi), che meritano la dovuta attenzione del Parlamento. La nostra ferma convinzione che il problema debba rientrare nelle priorità (più urgenti) del Parlamento, scaturisce dal coinvolgimento della più antica e sacra istituzione che rappresenta “il fondamento” di ogni società e civiltà, ovvero “LA FAMIGLIA”. Considerando che alcune delle inadempienze sono state riconosciute anche dalla Commissione ONU che vigila sull’applicazione della Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo – ratificata con L.176/91 (v. rapporto del 18 marzo 2003), e dalla Corte Europea di Strasburgo, che giudica le violazioni della Convenzione Europea sui Diritti e sulle Libertà fondamentali dell’Uomo – ratificata con L.848/55 e protocolli addizionali – in particolare il n.11 del gennaio 2001 (v.sent. Scozzari e Giunta del 13 luglio 2000), ci sembra il caso di insistere affinché il Parlamento affronti la questione con adeguata sensibilità, alla luce di quanto lamentato ed emerso, da almeno un decennio, dagli esposti, finora ignorati, e dalle testimonianze di moltissimi genitori e minori.
Attraverso la Stampa e la Televisione si sono inoltre espressi personaggi di rilievo quali: avvocati, sociologi, psicologi, esperti in materia di diritto, giornalisti e politici, i quali hanno esternato preoccupate perplessità sulla prassi adottata dai Tribunali per i Minorenni e dai Servizi Sociali.
Ci facciamo portavoce di tutti i cittadini (genitori e minori) coinvolti nei procedimenti attivati dai Tribunali per i Minorenni e gestiti dai Servizi Sociali dei vari Comuni, elencando le principali e gravi lacune legislative e giudiziarie sia sotto il profilo UMANO e sia sotto il profilo LEGALE, poiché ci pare ormai evidente che tali procedimenti vengono (spesso) attivati e gestiti in maniera DISUMANA e ILLEGALE, attraverso una dubbia interpretazione/applicazione della vigente legislazione, nonché attraverso l’abuso della discrezionalità che il legislatore ha concesso all’autorità giudiziaria attraverso le leggi. Ci sembra che tale discrezionalità abbia troppo spesso condotto i giudici a relegare in secondo piano la sostanza e lo spirito delle leggi.
I PUNTI CHE CONTESTIAMO:
1. Scarsa sorveglianza dei Tribunali per i Minorenni e dei Servizi Sociali sull’affidamento (temporaneo o definitivo) del minore allontanato dalla famiglia d’origine. Operatori e direttori di istituti di accoglienza ove collocato il minore, dai Servizi Sociali dei Comuni, sembra possano commettere ogni genere di abuso/inadempienza, senza che i T.M. e i Servizi Sociali vigilino e/o indaghino anche se informati di alcuni fatti (dimostrabili), e senza che prendano i dovuti provvedimenti una volta accertati i disagi a cui soggetto il minore all’interno di detti istituti (art. 4–c.3 e art. 9–c.5 L. 184/83; art. 4–c.3 e art. 9–c.4 L. 149/01; sent. Corte Europea del 13 luglio 2000).
2. Gravi traumi al minore che conosce i genitori naturali e che ha instaurato con essi i normali/naturali rapporti affettivi, dovuti al distacco e alle limitazioni imposte alle sue relazioni familiari. Al minore si impone un contesto di vita (comunitaria o familiare) diverso da quello d’origine, a cui, a motivo dell’eccessiva durata dei provvedimenti, è costretto ad adeguarsi. Teniamo particolarmente ad evidenziare che le suddette limitazioni e, ancor peggio, la sospensione dei rapporti coi genitori d’origine (a volte decretata), se protratte/a a lungo nel tempo (e ribadiamo l’eccessiva durata dei provvedimenti), possono produrre al minore la cosiddetta “sindrome dell’abbandono”. Per finire si costringe il minore, sempre a motivo dell’eccessiva durata dei provvedimenti, a superare prima il trauma dell’abbandono e dopo quello della rassegnazione (e non ci sembra questo l’obiettivo che si prefigge la legge).
3. Ingiustificata limitazione dei rapporti minore-genitore/i (visite di una/due ore alla settimana, a volte ogni due/tre settimane, o, addirittura, una volta al mese) che avvengono in presenza di terze persone non adeguatamente qualificate (giovanissimi educatori), che assistono agli incontri anche quando non vi sono esigenze cautelative che rendano opportuna la presenza di terzi, ad esempio sul sospetto di abusi sul minore ad opera di uno o entrambi i genitori (art. 5-c.2 L.184/83; art. 5-c.2 L.149/01; art. 8 Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo; art. 8 Conv. di New York sui diritti del Fanciullo; sent. Scozzari e Giunta del 13/07/2000 della Corte Europea di Strasburgo).
4. Assenza di contraddittorio fra le parti e negazione del diritto di difesa ai genitori e ai minori e, in frequenti casi, il negato accesso agli atti del fascicolo ai genitori e ai loro avvocati (artt. 24 e 111 Cost.; art.4–c.1, art.7–c.2 e art.10–c.5 L.184/83; art. 4-c.1 e 6, art. 7-c.2 e art. 10-c.5 L.149/01; art. 336-c.2 C.C.; art. 12 Conv. di New York sui Diritti del Fanciullo; art. 169 C.p.C. e artt. 76 e 77 Disp. Att. C.p.C.).
5. Determinazione delle “capacità genitoriali”, non richieste dalla legge, che avverrebbe per mezzo di test psicologici (spesso antiquati e poco affidabili), fatti in momenti in cui la “scala dei toni” dei genitori coinvolti è notevolmente ridotta dalla penosa vicenda in cui vengono a trovarsi (ambiguamente gestita dai vari incaricati). Test che, fra l’altro, non sono specifici a determinare tali capacità.
6. Provvedimenti provvisori inoppugnabili e di durata eccessiva. In merito alla durata dei provvedimenti occorre evidenziare che il risultato finora ottenuto, nella stragrande maggioranza dei casi, è stato inevitabilmente “l’opposto” di quello che le leggi sulla materia, nella loro sostanza, intenderebbero raggiungere (art. 5-c.2 L.184/83; art. 5-c.2 L.149/01; art. 739 C.p.C.). Di fatto si constata, inoltre, l’impossibilità di ottenere l’annullamento delle decisioni dei Tribunali per i Minorenni anche attraverso i successivi gradi di giudizio che, spesso, anziché confermare o annullare le sentenze di primo grado, ripercorrono la stessa procedura allungando ulteriormente i tempi di distacco del minore dal genitore/i. Le statistiche dimostrano che, anche quando la Corte d’Appello o la Corte di Cassazione annullano i decreti o le sentenze dei T.M., il minore non torna comunque a casa (art. 17-c.4 e 5 L.184/83; art. 16-c.1 e 2 L.149/01).
ENTRANDO NEI PARTICOLARI:
Di cui al punto 1):
Premesso che le istituzioni preposte intervengono allorquando si presentano situazioni di pregiudizio al minore, ove il legislatore ha previsto, SOLO IN CASO ESTREMO, il suo allontanamento dalla famiglia di origine (o da uno dei genitori), da almeno un decennio il Tribunale per i Minorenni, ancor prima di avere svolto accurate indagini, allontana il minore da uno o da entrambi i genitori, limitando, o a volte sospendendo, i rapporti con esso/i, e la patria potestà del/i genitore/i. Questo in base alle sole dichiarazioni di assistenti sociali, coniuge o ex-coniuge, convivente o ex-convivente, o altri, senza ascoltare il genitore/i accusato/i e il minore in grado di esprimersi. Teniamo a ricordare che si sono registrati parecchi casi in cui alcuni operatori hanno azzardato ipotesi avventate con estrema superficialità, scarsa preparazione professionale e senza conoscere in modo adeguato e corretto le situazioni. Il T.M. in via provvisoria ed urgente (art. 336 C.C.), emette un decreto in cui cita gli artt. 330, 333 del Codice Civile, ma detti articoli ci sembrano chiaramente riferiti a comportamenti pregiudizievoli del/i genitore/i verso i figli… già ACCERTATI (sui quali si è prima indagato e di cui si è poi avuta certezza). A nostro avviso alla luce di detti articoli, il minore dovrebbe essere allontanato dal/i genitore/i solo dopo aver accertato la sua/loro colpevolezza.
Nei casi più delicati e/o complicati, in cui si rendesse opportuno l’allontanamento del minore da uno o da entrambi i genitori (per precauzione – cioè considerando attendibili le informazioni di pregiudizio segnalate), le leggi raccomandano comunque di salvaguardare e agevolare i rapporti minore-genitore/i (art. 5-c.2 L.184/83; art. 5-c.2 L. 149/01). Questo, come emerge dal contesto e dalla sostanza delle leggi, per consentire al/i genitore/i sospettato/i e/o accusato/i di azioni pregiudizievoli verso la prole e/o con problemi di varia natura (psicologici, economici), di riprendersi da quelle situazioni che senz’alcun dubbio possono nuocere alla crescita dei figli, ma che non sempre dipendono esclusivamente dagli errori o dalle cattive scelte del/i genitore/i (v. ad es. le difficoltà economiche), e far sì che il minore possa rientrare al più presto presso di loro (o ristabilire i rapporti limitati con uno di essi), una volta fatta luce sulle questioni che hanno provocato l’allontanamento e/o la limitazione delle relazioni familiari del minore.
Di fatto, invece, si è potuto constatare, con sdegno e sorpresa di moltissimi genitori, che detti rapporti non solo non vengono agevolati dagli enti affidatari, con la complicità dei T.M., (art. 5-c.2 L.184/83; art. 5-c.2 L.149/01), ma vengono addirittura impediti e ostacolati per mezzo di segnalazioni e dichiarazioni, relazionate al T.M., non sempre veritiere e a cui nessuno può porre obiezione alcuna.
Se poi il pregiudizio al minore è dovuto a problemi di carattere economico della famiglia d’origine è ancor più giustificato il compito dell’Ente affidatario di agevolare detti rapporti col massimo impegno (art. 8-c.3 L.184/83; art. 1-c.2 L.149/01; art. 3-c.2 e art. 31-c.1 Cost.; L.328/00 e L.285/97; sent. Cass. II Sez. Civ. n.2010 del 13/02/01 e n. 4503 del 28/03/02), e questo indipendentemente dalle risorse finanziarie disponibili (art. 1-c.3 L.149/01), che potrebbero (volendo) essere usate anche per dare un eventuale aiuto economico alla famiglia (art. 1-c.2 L.149/01; L.328/00). Purtroppo anche quì le statistiche dimostrano che la maggior parte dei provvedimenti “temporanei”, divenuti quasi sempre definitivi a sfavore dei genitori e dei minori, sono presi per le difficoltà economiche della famiglia (42% dei casi) e per problemi di salute di uno o di entrambi i genitori (23% dei casi) - disgrazie non sempre previste e desiderate. Moltissimi genitori lamentano anche, oltre al fatto di non aver ricevuto il tipo di aiuto sperato e spesso ingenuamente e spontaneamente richiesto, di essere stati calunniati, diffamati e ritenuti incapaci sulla base di affermazioni mai dimostrate con fatti concreti e credibili. Nei casi di “conflittualità” della coppia genitoriale (32% dei casi) si sospetta, addirittura, che l’operato dei servizi sociali, o di qualsiasi altro incaricato alla supervisione dell’affidamento temporaneo del minore, miri a disgregare la coppia anziché a riunirla, pensando forse di poter stabilire, senza troppe indagini, se la loro relazione possa durare o meno (in base a sospetti e/o supposizioni). In sostanza si vuole evidenziare che i casi in cui sono realmente necessari i drastici provvedimenti dei T.M. (per abusi sessuali, maltrattamenti e abbandono sul/del minore), sono in percentuale veramente minima.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che se le istituzioni intervengono nella vita privata e familiare dei cittadini (art. 8 Conv. Europea sui Diritti dell’Uomo) in maniera drastica, è per assicurare al minore quelle cure non garantite dal/i genitore/i. Siccome le misure di sostegno al minore, opportunamente istituite (L.176/91e L.285/97), costituiscono un rilevante dispendio di denaro pubblico (come dichiarano gli stessi enti locali/affidatari), è assai riprovevole il fatto di sapere che, in alcune strutture (profumatamente pagate con denaro pubblico), alcuni minori si ammalano e non vengono curati, alcuni subiscono violenze di carattere sessuale (che in alcuni casi vengono attribuite ai genitori) o maltrattamenti psicologici e fisici di ogni sorta (vedasi gli istituti “Il Forteto” di Firenze e “Il Cenacolo” di Ugento e la dichiarazione dell’avv. Emilio Falcetta, che, dopo lo scandalo dell’istituto “Il Cenacolo”, affermava pubblicamente che quello di Ugento è solo la punta di un iceberg del problema).
Si teme, in sostanza, che dietro a un problema sociale di siffatta delicata natura qualcuno abbia voluto/saputo creare un business e posti di lavoro (educatori, consulenti familiari, psicologi, istituzione e uso di fondi), senza curarsi del primario obiettivo che si vorrebbe/dovrebbe raggiungere attraverso la legislazione.
Nelle tre tipologie di casi sopra elencate ci risulta che il minore, allontanato “temporaneamente” dalla famiglia d’origine, nel 99% dei casi non vi abbia mai più fatto rientro, col conseguente aggravio della situazione psico-emotiva ed economica dei genitori che hanno dovuto sottoporsi a ripetute visite psico-diagnostiche coatte, subire minacce e ricatti dai vari operatori (del tipo “se non fate come vi si dice non vedrete più i vostri figli”), e che hanno dovuto sborsare fior di quattrini per consulenze legali e psicologiche che non hanno portato ad alcun risultato.
A nostro avviso tutto quanto sopra esposto si è potuto creare e consolidare proprio per la scarsa sorveglianza e per il mancato intervento delle autorità preposte alla gestione dei casi, come pure riscontrato e condannato dalla Corte Europea di Strasburgo (sent. Scozzari e Giunta del 13 luglio 2000).
Di cui al punto 2):
Premesso che le istituzioni preposte evidenziano sempre ed esclusivamente i traumi che il minore possa aver subito all’interno della famiglia d’origine, ci giunge strano che non considerino mai, invece, i traumi ben più gravi che il minore possa subire attraverso i provvedimenti presi e così gestiti dalle istituzioni.
Nonostante i servizi sociali enfatizzino (talvolta esagerando) i traumi subiti dal minore all’interno della famiglia d’origine, in alcuni casi il minore non viene neanche sottoposto ad alcun accertamento psicologico e/o ad alcuna terapia (misure sempre riservate solo ai genitori). Ciò che ci giunge ancor più strano, e che ci indigna particolarmente, è come le istituzioni adducano sempre, come pretesto per negare il rientro del minore in famiglia, l’ulteriore trauma che questi riceverebbe qualora, per effetto di sentenze emesse dalle Corti d’appello o dalla Suprema Corte di Cassazione, che annullano le decisioni dei Tribunali per i Minorenni, lasciasse la famiglia affidataria/adottiva (scelta dalle istituzioni) in cui ha creato i suoi nuovi affetti. Quei genitori che esigono il rientro del minore, cioè l’esecutività della sentenza che ha dato loro ragione dopo molti anni di ansie, di stress e di parcelle pagate agli avvocati difensori e ai consulenti di parte, si trovano davanti ai sensi di colpa che gli riversano addosso le istituzioni e all’impossibilità di riottenere i figli.
Sempre in tema di traumi al minore si contesta anche il metodo con cui lo si allontana spesso dalla famiglia. Non ci sembra opportuno l’ausilio di tante unità delle forze dell’ordine e ancor meno prelevarlo dalla scuola, dall’asilo, dall’ospedale, etc., all’insaputa del/i genitore/i. Sebbene il trauma del distacco non includa forse i neonati, poiché possono confondere presto i genitori naturali con degli pseudo-genitori, ci sembra che le istituzioni non vogliano considerare minimamente la differenza fra neonati, e bambini che hanno vissuto a sufficienza coi genitori naturali per conoscerli ed amarli. Sembra che l’autorità giudiziaria faccia di tutta l’erba un fascio considerando pessimi tutti i genitori che hanno problemi e considerando tutti i minori in grado di sopportare il distacco dai genitori, processando intenzioni e apparenze come se volessero decidere, in luogo del minore, come devono essere i genitori adatti a lui. Teniamo infine a precisare che, in linea di massima, i figli amano i propri genitori coi difetti che hanno.
Di cui al punto 3):
Abbiamo sentito diverse volte (attraverso le radio e le televisioni) e abbiamo letto diverse volte (dalle pagine di riviste e quotidiani), le dichiarazioni di alcuni giudici minorili e di alcuni psicologi nominati dai T.M. quali Consulenti Tecnici d’Ufficio, e abbiamo notato (con indignazione) che a parole sembrano tutti consapevoli di ciò che si prefiggono le leggi sulla materia, e che, sempre a parole, sembrano tutti ben intenzionati ad aiutare le famiglie in difficoltà prima di ricorrere alla soluzione estrema di allontanare il minore da esse. Tipica infatti la loro frase: “l’allontanamento è l’estremo rimedio a cui si ricorre, con rammarico, solo quando non se ne può fare a meno o quando i genitori rifiutano il sostegno offerto dai servizi sociali e che, pur essendo drastico, è comunque temporaneo”.
Non vogliamo entrare nel merito di ciò che pensano molti genitori e molte famiglie riguardo agli aiuti offerti dagli assistenti sociali. Sicuramente molti di loro si prodigano e aiutano molte famiglie, ma molti aggravano notevolmente i problemi di tante altre. A questo riguardo teniamo a sottolineare che le delusioni e le ferite più grandi le hanno avute i genitori che spontaneamente e fiduciosamente si sono rivolti alle istituzioni, raccontando molto della loro vita privata e dei loro problemi (primariamente per il bene dei figli), per ritrovarsi in breve, e con sommo stupore, sotto inquisizione. Mai gli operatori chiamati in causa (assistenti sociali e psicologi) si sono presentati ai genitori come aiuti ma bensì come inquisitori. Tralasciando, quindi, ogni altra considerazione/polemica riguardo agli aiuti offerti dai Servizi Sociali, riteniamo opportuno soffermarsi invece sulla “temporaneità” dei cosiddetti “provvedimenti provvisori” che spezzano, comunque e indiscutibilmente, gli affetti più cari delle famiglie.
La legge pur dando ai giudici la facoltà di prendere “ulteriori provvedimenti nell’esclusivo interesse del minore” (art. 4-c.5 L.184/83; art. 4-c.5 L.149/01), lascia comunque intendere, nello stesso tempo, che l’affidamento temporaneo, coerentemente all’etimologia del termine, non può protrarsi troppo nel tempo (art. 4-c.4 L.149/01), e non prevede mai che, nell’esclusivo interesse del minore, si possa negare al/i genitore/i il diritto di difendersi (dalle dichiarazioni di assistenti sociali che ricorrono a pure menzogne per screditarlo/i). Non si possono violare le tante leggi a tutela dei diritti usando, come pretesto, il “supremo interesse del minore”.
Si riscontrano molti casi in cui l’affidamento supera abbondantemente il termine stabilito dalla legge, e mentre molti minori vengono sballottati da un istituto all’altro o da una famiglia all’altra, il ristabilimento del nucleo familiare (auspicato dalla legge) è ostacolato da una situazione che, purtroppo, è gestita in maniera poco trasparente e poco rispettosa della dignità e dei diritti di coloro che vi sono coinvolti. La scarsa professionalità di coloro che dovrebbero aiutare risulta evidente, a chi ha rapporti diretti e frequenti con loro, fin dalla fase iniziale. Per tornare alla discrezionalità che la legge lascia al giudice ci pare che questa non debba però essere usata per stravolgere l’obiettivo che il legislatore intende raggiungere per mezzo della legge, ovvero non può, il giudice, farne un uso/abuso che si scontri con la sostanza e lo spirito della legge.
Per essere più chiari: se il giudice adotta raramente “ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore”, prolungando l’affidamento provvisorio oltre i ragionevoli limiti della temporaneità, non intacca lo spirito della legge poiché decide in base a particolari situazioni che costituiscono le “eccezioni”. Se adotta, invece, sempre “ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore”, in numero indefinito, prolungando l’affidamento provvisorio, vanifica lo spirito e la sostanza della legge poiché sortisce, inevitabilmente, l’effetto contrario a quello che si vuole raggiungere per mezzo di essa. In definitiva la discrezionalità che il legislatore lascia al magistrato non significa che quest’ultimo possa fare tutto ciò che vuole (art. 101 Cost.; art. 1 e art. 4-c.4 L.184/83; art. 1, art. 2-c.2, art. 4-c.5 e art. 5-c.2 L.149/01; sent. n. 4503 del 28/03/02). Se quindi il giudice dovesse abusare o abusa della discrezionalità consentitagli dalla legge, sarebbe opportuno modificare la legge in maniera da limitargliela.
Un punto importantissimo che vogliamo evidenziare in modo particolare è che fintanto che i decreti sono provvisori i genitori non possono accedere ai successivi gradi di giudizio e, quindi, non possono ricostruire, prima che sia troppo tardi, le relazioni coi loro figli (relazioni compromesse dalle limitazioni imposte).
Per concludere, per quanto possa essere problematico salvaguardare in maniera significativa i rapporti minore-genitore/i, è sempre un onere che le istituzioni preposte devono affrontare con impegno. Si rammenta ancora che l’agevolazione di detti rapporti non comporta alcun ulteriore dispendio di denaro pubblico e aggiungiamo, inoltre, che molti genitori non hanno mai chiesto aiuti economi, ma bensì di poter stare coi propri figli in libertà mentre si compiano gli opportuni accertamenti.
Il quadro della situazione (passata ed attuale) è che, sotto questo aspetto, i servizi sociali sono stati e continuano ad essere inadempienti e che, spesso, rifiutano anche di applicare le disposizioni del T.M. e della legge (il caso Mercier è un esempio fra tanti).
Ci sembra inutile polemizzare sull’utilità delle leggi se qualcuno può ignorarle/violarle impunemente (artt. 28 e 54 Cost.).
Di cui al punto 4)
E’ forse uno degli aspetti più importanti dell’intera questione. E’ l’aspetto che, sostanzialmente, permette le note e criticate lungaggini dei provvedimenti e, di conseguenza, l’irreversibile totale distacco minore-genitore/i, coi conseguenti traumi che ne conseguono e che si ripercuotono principalmente sul minore.
Ci suona alquanto strano il fatto che sul diritto di difesa dei genitori e dei minori i T.M., a differenza degli altri tribunali, POSSANO fare eccezioni (come sostengono alcuni) e le motivazioni sono le seguenti:
1. L’art. 24 Cost. recita che “la difesa è un diritto inviolabile del cittadino in ogni stato e grado del procedimento”.
2. L’art 111 Cost. recita che il giusto processo si svolge nel contraddittorio fra le parti.
3. L’organico dei T.M. è costituito da magistrati anch’essi soggetti alla legge (art. 101 Cost.).
4. Nessun Codice e/o Legge permette ai T.M. di limitare/negare il diritto di difesa al/i genitore/i, e di non tenere conto di quegli elementi, presentati da esso/essi, che costituiscono il contraddittorio. La legge non dice nulla di esplicito, come anche dichiarato dal giudice Elisa Ceccarelli del T.M. di Bologna in un’intervista rilasciata alla giornalista Marina Terragni (v. rivista Io Donna n. 20 – aprile 2002), e quando questa non dice nulla di esplicito il giudice, per etica, dovrebbe fare riferimento alla Costituzione italiana quale Legge principale (art. XVIII disp. tr. e finali Cost.), nella fattispecie all’art. 24.
5. I giudici, pur facendo parte di un fondamentale organo dello Stato, sono terze persone che devono giudicare in maniera neutrale ed imparziale nelle controversie fra due o più parti in causa e, quindi, non rappresentano gli interessi dello Stato, ma la corretta amministrazione della giustizia (v. codice deontologico del magistrato e art. 111 Cost.).
Nella fattispecie i giudici minorili sono terzi nelle controversie fra lo Stato e il/i genitore/i sospettato/i e indagato/i del pregiudizio verso i figli. Non potrebbero quindi, per etica e per la corretta amministrazione della giustizia, eludere il contraddittorio fra le citate parti, poiché si sospetterebbe, a ragion veduta, di parzialità e non neutralità ad esclusivo vantaggio dello Stato che, così, si sottrae dagli oneri previsti dalla legge.
Lo Stato, rappresentato dai Servizi Sociali (affidatari del minore), può benissimo commettere abusi ed errori. Gli abusi per conflitto di interessi e gli errori per le inconfutabili regole che “nessuno è perfetto” e che “tutti possono sbagliare”. Non può il giudice (di qualsiasi tribunale), nelle controversie fra Stato e cittadini, rifiutare i reclami, le istanze e gli atti probatori presentati da questi ultimi, in difesa dalle accuse mosse nei loro confronti. Senza contraddittorio fra le parti è come dire che lo Stato ha sempre ragione e che può decidere le sorti del cittadino (nella fattispecie della famiglia) indipendentemente dai fatti. E’ impensabile, inoltre, considerare come “oro colato” soltanto l’operato di assistenti sociali, educatori, etc., poiché si attribuisce a tali persone, spesso giovani e quindi prive di esperienza e/o di adeguata professionalità, l’infallibilità. Da non sottovalutare, inoltre, l’opportunità che si concede ai suddetti operatori di abusare della propria mansione e di violare le leggi per interesse personale (artt. 28 e 54 Cost.).
Occorre anche precisare che i provvedimenti provvisori emessi dai T.M. limitano i diritti dei figli e dei genitori e la patria potestà dei genitori sui figli.
Ammesso e concesso che il minore è, in questo caso, parte da tutelare, il genitore, in quanto considerato responsabile del disagio/pregiudizio verso i figli, ha il sacrosanto diritto di difendersi. E’ proprio perché i provvedimenti emessi dal giudice, occorre ribadirlo, sono limitativi fin dalla loro fase iniziale (a tutti gli effetti sono delle pene inflitte senza processo e senza accurate indagini), che devono essere gestiti nel contraddittorio fra le parti e si deve consentire al/i genitore/i di difendersi in ogni momento (art. 24 Cost).
In tutta sincerità ed onestà quanto finora addotto dai T.M., riguardo al diritto di difesa negato ai genitori, non sta proprio in piedi!
Noi azzardiamo l’ipotesi che il diritto di difesa negato, la secretazione degli atti e l’assenza di contraddittorio fra le parti siano arbitrarie decisioni dei giudici dei T.M. che non trovano fondamento alcuno nella Costituzione, in nessuna Legge e neppure nella logica.
Ci sembrano frutto di una strana e blanda interpretazione della legge in generale che, trincerata nel “supremo interesse del minore”, ha calpestato fondamentali diritti e ha segnato, in maniera indelebile, il futuro di centinaia di migliaia di genitori e minori (si rammentano, fra i casi estremi, gli oltre 524 suicidi di genitori nell’arco di un decennio). Tale prassi ha permesso, inoltre, a giovani assistenti sociali, e a consulenti esterni mossi da interessi lucrativi, di riempire gli istituti per minori ricorrendo semplicemente alla menzogna (alcuni psicologi, nominati dai T.M. quali C.T.U., non erano nemmeno iscritti negli appositi Albi e facevano test antiquati e poco affidabili.
Di cui al punto 5)
Si contesta enormemente il fatto di sottoporre i genitori a test e/o a psico-diagnosi coatte per determinare le cosiddette “capacita genitoriali”, che mantengono troppo a lungo, fra l’altro, i provvedimenti dei T.M. nella fase provvisoria e quindi inoppugnabile.
Prima di ogni cosa vorremmo far notare che la legge dice, in maniera esplicita, che il giudice deve indagare e accertare la situazione di abbandono del minore, e non le “capacità genitoriali” dei suoi genitori (art. 10-c.1 L.184/83 e art. 10-c.1 L.149/01). Ci sembrano due cose ben diverse.
Anche in questo caso non ci sembra appropriato addurre la legge, laddove dice che il giudice può prendere “ulteriori provvedimenti nell’esclusivo interesse del minore”, poiché, ribadendo quanto già espresso, quando nella stessa legge vi sono indicazioni esplicite e precise, il giudice non può inventarsi iniziative diverse che stravolgono quanto esplicitamente richiesto nella legge e quanto il legislatore intende raggiungere per mezzo di essa (art. 12 Preleggi – interpretazione della legge).
Anche il metodo adottato dal T.M. per determinare le suddette “capacità genitoriali” è alquanto strano. Esso ordina ai genitori di sottoporsi a una perizia psicologica nominando un Consulente Tecnico d’Ufficio (C.T.U.) che, però, non può essere affiancato da un Consulente Tecnico di Parte scelto dai genitori (C.T.P.). Molte, infatti, sono le istanze rigettate dai T.M. che i genitori hanno presentato, attraverso i loro avvocati difensori, chiedendo di affiancare il C.T.P. al C.T.U. durante le sedute stabilite dal C.T.U. (v. contraddittorio).
Se i genitori si sottopongono ugualmente al C.T.P., in sedute separate, inviando poi la relazione peritale al T.M., questa non viene presa minimamente in considerazione. La relazione peritale del C.T.P. viene esaminata solo in secondo grado, dalla Corte d’appello, a cui però i genitori possono accedere se non dopo almeno due anni.
Altro dubbio giunge dal metodo adottato dai C.T.U. per determinare le suddette “capacità genitoriali” (che i T.M. convalidano sistematicamente). Considerando che i test psicologici non stabiliscono mai la certezza di quanto possano diagnosticare, si dovrebbe presupporre l’esistenza di test specifici a determinare le suddette capacità. Evidentemente tali test non esistono poiché gli psicologi nominati quali C.T.U. effettuano test specifici a determinare la personalità dell’individuo. Alcuni psicologi effettuano test addirittura antiquati e poco attendibili. Il test di Rochach, ad esempio, ha un grado di affidabilità dello 0,5% a determinare la personalità dell’individuo e si effettua nei casi di schizofrenia. Tale test, se fatto alla stessa persona da dieci psicologi diversi, potrebbe dare dieci diagnosi diverse. Il test di Blacky ha un grado di affidabilità ancor più basso (0,3%) e si usa per determinare la sessualità dell’individuo. Il test MMPI, che ha un grado di affidabilità di gran lunga superiore (88%) a determinare, però, sempre la personalità dell’indivuduo, viene usato invece molto raramente. Altro fatto stranissimo è che i T.M. ordinano spesso ai genitori di sottoporsi a tali test dopo qualche anno dall’inizio del procedimento, cioè quando la “scala dei toni” del/i genitore/i si è notevolmente abbassata a motivo: 1) dei limiti imposti alle relazioni coi figli; 2) delle frequenti minacce degli operatori sociali; 3) del terrore di perdere i figli per come ambiguamente gestita la vicenda. Ci sembra assolutamente superfluo dubitare del fatto che il risultato di un test psicologico fatto a un individuo in condizioni di cattività, è sicuramente diverso che se fatto allo stesso individuo, in condizioni normali. Sembra che i giudici oltre a negare il contraddittorio fra le parti, il diritto di difesa al/i genitore/i e l’accesso agli atti del fascicolo, si siano anche inventato di dover determinare le “capacità genitoriali” degli individui (non previste dalla legge) per mezzo di strumenti imposti e poco attendibili (nelle leggi non esiste un solo riferimento a tali requisiti – cfr. art. 2-c.2, art. 10-c.1, art 12-c.4 e art.15 L.184/83; art.1-c.4, art. 2-c.1, art.8-c.1, art. 8-c.3, art. 9-c.2, art. 10-c.1 e art. 14 L.149/01; artt.330, 333, 336 C.C.).
I pochi riferimenti ad accertamenti psico-diagnostici sono riferiti al minore e non ai suoi genitori e ribadiamo ancora quanto già espresso in precedenza, ovvero che il giudice non può usare la discrezionalità concessagli dal legislatore per mutare il fine della legge.
Se quindi anche il fatto di dover determinare le “capacità genitoriali” degli individui, è frutto della discrezionalità concessa al giudice (di prendere “ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore”), crediamo che il giudice non abbia ben compreso la sua funzione (art. 101 Cost.), rivestendosi, invece, di onnipotenza.
A conclusione, se quanto finora esposto dipende da libere iniziative dei magistrati dei T.M., a cui nessuno ha attribuito il potere di andare oltre la legge, sarebbe opportuno e urgente trovare una soluzione credibile.
Al riguardo crediamo che la soluzione proposta da alcune forze politiche di abolire i T.M., a rigor di logica non sembra poter dare le garanzie sperate.
E le ragioni che ce lo fanno pensare sono sostanzialmente due:
1. Se i T.M. hanno lavorato/lavorano correttamente, interpretando e applicando diligentemente la legge e quindi negando il contraddittorio e il diritto di difesa ai genitori, non c’è bisogno di abolirli poiché hanno fatto/fanno il loro dovere. Se è questo che la legge voleva/vuole, anche i giudici delle nuove sezioni specializzate che alcune forze politiche propongono di istituire presso i tribunali ordinari, dovendo applicare la stessa legge si comporterebbero allo stesso modo.
2. Qualora invece i giudici minorili avessero male interpretato la legge, e persistessero in tale atteggiamento, sarebbe il caso, a questo punto, di promuovere nei loro confronti le azioni disciplinari previste mediante gli strumenti appositamente istituiti (artt. 105 e 107 Cost.).
A nostro avviso la soluzione al problema si otterrebbe solo attraverso le uniche alternative di seguito elencate:
• O si modifica nuovamente la legge (nella fattispecie la 149/01 e gli articoli del codice ad essa ricondotti).
• O si puniscono i magistrati inadempienti.
Quella che chiediamo al Parlamento di valutare ed accogliere, con la massima sollecitudine, è decisamente la prima, e, in relazione alle consulenze tecniche d’ufficio, qualora queste si rendessero indispensabili, non dovrebbero essere richieste troppo lontano dall’inizio del primo provvedimento (per non falsarne la diagnosi a motivo della penosa vicenda che coinvolge gli interessati) e non dovrebbero nemmeno divenire l’arma dei giudici per prolungare l’allontanamento del minore dal/i genitore/i. La consulenza tecnica d’ufficio (psicologica), in sostanza, dovrebbe semmai servire a determinare le condizioni emotive/psicologiche del/i genitore/i per poi stabilire un percorso terapeutico che li aiuti a diventare più responsabili (se esiste tale percorso) e/o per curare quei GRAVI problemi psicologici (qualora fossero tali), che impedirebbero loro di crescere ed educare i figli. In sostanza se uno o entrambi i genitori risultassero psicologicamente fragili e/o instabili, da far solo sospettare un potenziale pericolo alla prole, senza però interdizioni o gravi atti di violenza già noti, la consulenza psicologica dovrebbe solo determinare un’eventuale idonea terapia in grado di aiutarli a vivere più serenamente possibile e a crescere i figli coi figli.
Di cui al punto 6)
Questo è l’aspetto di pari importanza a quello precedentemente trattato al punto 4, in quanto è dalla durata della procedura che dipende il fine ultimo della legge. Più lunga è la durata dei provvedimenti e più aumenta il rischio che il nucleo familiare non si ricomponga più. Più lunga è la durata dei provvedimenti e più difficile sarà ricostruire gli affetti spezzati (per questo, poi, le stesse istituzioni che hanno contribuito ad allungare la durata dei provvedimenti, non restituiscono mai più il minore ai genitori, nemmeno se hanno ragione ai successivi gradi di giudizio).
Il problema sta nell’individuare le cause che estendono la durata dei provvedimenti.
Se dipendesse soltanto dalla notoria e problematica lentezza della magistratura sarebbe il minore dei mali (tenendo comunque conto che, in questi casi, non si tratta di giudicare controversie in cui sono in gioco interessi materiali e/o economici).
Il fatto alquanto strano è che tutte le parti in causa, nella gestione dell’affidamento del minore, contribuiscono ad allungare i tempi della procedura, ignorando impunemente le indicazioni dei Tribunali e le leggi (senza che nessuna autorità intervenga anche se chiamata in causa e/o informata dei fatti).
In tutti i casi a nostra conoscenza, nella fase iniziale dei procedimenti i T.M. incaricano i Servizi Sociali di svolgere un’indagine psico-sociale sul nucleo familiare, pur non avendo, spesso, (i Servizi Sociali) personale con adeguati requisiti professionali per svolgerla. Incaricano gli stessi Servizi Sociali di inviare le relazioni, e quant’altro relativamente al nucleo familiare ed al minore a loro affidato “temporaneamente”, entro un termine temporale che i Servizi Sociali non rispettano quasi mai. I Servizi Sociali inviano sistematicamente in ritardo le relazioni, commettendo un’inadempienza che influisce sui tempi di intervento dei giudici, relazioni che, per di più, sembrano non essere esaustive. I T.M., infatti, ordinano dopo la famosa C.T.U. (quando già trascorsi non meno di sei mesi).
Gli psicologi scelti e nominati dai T.M. (C.T.U.), a loro volta, iniziano la perizia dopo alcuni mesi dal ricevimento dell’incarico e impiegano non meno di cinque/sei mesi per portarla a termine. Tralasciando i commenti relativi al tipo di test effettuati, di cui si è già parlato, i C.T.U. inviano la relazione peritale ai giudici nuovamente in ritardo, e questi ultimi, a loro volta, lasciano trascorrere ancora altri mesi, se non anni, prima di decidere se restituire il minore ai genitori, o se dichiararlo adottabile e darlo in affidamento preadottivo (dando modo, solo così, ai genitori naturali di opporsi al provvedimento). Da notare che tutto ciò dovrebbe svolgersi nel più breve tempo possibile, al massimo in due anni (art. 4-c.4 L.149/01).
Quando il T.M. emette la sentenza definitiva in cui dichiara lo stato di adattabilità del minore, a cui i genitori possono opporsi davanti alla Corte d’appello (ora), trascorrono altri mesi prima che la stessa Corte decida se respingere o accogliere il ricorso presentato dai genitori e fissare l’udienza. La Corte d’Appello, poi, anziché confermare o annullare la sentenza del T.M. (poiché secondo grado di giudizio), può svolgere ancora ulteriori indagini… allungando ulteriormente i tempi di distacco del minore col/i genitore/i natuale/i.
In tutto il tempo trascorso (non meno di tre anni – quando va bene) il minore, se in tenera età, si è già sentito abbandonato dai genitori, si è già (forse) rassegnato e abituato a vivere con pseudo-genitori, e si è, quindi, costruito il pretesto che le istituzioni poi adducono per non restituirlo mai più ai suoi genitori naturali (anche se, come già detto, dovessero vincere davanti alla stessa Corte d’appello o davanti alla Suprema Corte di Cassazione). A noi tutto questo sembra di un’assurdità inaudita che può solo confermare il sospetto di adozioni premeditate e prestabilite ancor prima di offrire alcun sostegno alla famiglia e ancor prima di accurate indagini. Si sono registrati casi che non si sa come definire, tante le assurdità che li hanno caratterizzati (v. il caso Bracco). Con una simile interpretazione/applicazione della legislazione in materia di affidamento e adozione di minori si compie il totale/definitivo distacco minore-genitore/i naturale/i, si costringe il minore a superare il trauma del distacco, lo si costringe a superare il trauma dell’abbandono (che in moltissimi casi non sussiste) e lo si costringe, infine, a rassegnarsi a vivere in un'altra famiglia. Tutto questo mentre i genitori cercavano inutilmente, fra le difficoltà ed ansietà aggiuntesi a quelle esistenti, di rimediare ai loro errori e/o alle loro disgrazie (a volte impreviste e non sempre volute), con esorbitante dispendio di risorse economiche, emotive e fisiche.
Molti genitori, come già detto, si sono suicidati e molti altri hanno compromesso e perso il posto di lavoro a motivo dei continui permessi richiesti per incontrare i propri figli rinchiusi negli istituti, per incontrare gli assistenti sociali, i giudici, il C.T.U. nominato dal T.M., poi quello nominato dalla Corte d’appello, i consulenti familiari, gli avvocati, e/o per il calo della produttività provocato dal supplizio di questa strana prassi giudiziaria. Molti altri hanno speso ogni risparmio (messo da parte con tanti sacrifici) per non ottenere nulla, e sembra che tutto quanto finora esposto, che noi speriamo vivamente di avere illustrato, debba essere tollerato, occultato e perfino difeso.
La richiesta del Comitato Ge.Fi.S., in rappresentanza delle famiglie coinvolte con le istituzioni descritte, è quella di:
Modificare urgentemente e inequivocabilmente la vigente legislazione - prevedendo sanzioni e azioni disciplinari verso tutti gli operatori sociali che non svolgono adeguatamente il compito a loro assegnato,
per garantire ai cittadini che lo Stato intende realmente agevolare la formazione della più antica e sacra istituzione – fondamento di ogni società e civiltà – quale è la FAMIGLIA (artt. 3, 31 e 36 Cost.).
In attesa di un auspicabile e positivo riscontro, restiamo a completa disposizione per ogni informazione e o ulteriore dettaglio.
Con osservanza
Il Presidente: Bruno Aprile Il Segretario: …omissis…. Il Tesoriere: …omissis…
Democrazia è una parola composta da due parole tratte dal greco: δῆμος (démos) Popolo e κράτος (cràtos) Potere, quindi: “Potere del popolo”. La VERA democrazia si realizza nelle FORME (plurale) della Costituzione italiana (art. 1 Cost.) e cioè la Democrazia Rappresentativa (artt. 55; 114 e segg.) e la Democrazia Diretta (artt. 50, 56, 58, 71, 75, 138,102,118 e 123 Cost.). Senza Democrazia Diretta avremo solo un'Oligarchia (dei partiti)
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Questo è un tema che non dimenticherò mai! Un labirinto di procedure burocratico/giudiziarie che mi hanno creato dei danni impensabili a chi non conosce i procedimenti e gli interessi di intere lobbies che ruotano attorno ai minori ed all'affidamento di minori.
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