mercoledì 13 febbraio 2013

Meno lobbies e più democrazia – Intervista a Michele Ainis

Copio e incollo dalla fonte:


Michele Ainis, costituzionalista, insegna all’università di Roma3. Scrive sul Corriere della Sera e su l’Espresso. Ha pubblicato una ventina di saggi su temi politici e istituzionali
Da TERA e AQUA n. 71 FEBBRAIO – MARZO 2013 – Bisemestrale dell’Ecoistituto del Veneto Alex Langer, intervista di Giorgio Calderoni daUna Città
D.: Dai dati del libro Privilegium (Rizzoli pag. 177, eu 17,00), emerge un paese quasi feudale, dove non c’è solo la casta dei politici, ma ciascuno difende i suoi piccoli o grandi privilegi di casta, di lobby, di corporazione.
R.: La regola non esiste più: sommersa, annegata, soffocata da 63.194 deroghe. In origine accadde per motivi nobili, o almeno ragionevoli. Dopo l’Unità d’Italia c’era l’esigenza di differenziare la legislazione perchè erano profondamente differenti i livelli di sviluppo delle varie aree del Paese. Ma oggi la musica è ben altra: sono le corporazioni a pretendere e a ottenere leggine di favore. Sicchè in ultimo ogni categoria indossa un vestito normativo diverso da quello cucito sulle spalle della categoria gemella. Non c’è più un unico sarto, la legge generale è ormai un ricordo. Il nostro diritto è diventato capriccioso e instabile, alluvionato da regolette minute e di dettaglio. Fatte apposta per tenere la società bloccata. Impedire il ricambio. Escludere i giovani.
D.: Nel denunciare l’esistenza di tante piccole caste e privilegi, lei chiama in corrietà l’intera società civile. Come se ne esce?
R.: Non bastano dei ritocchi. Non resta che la rivoluzione. Pacifica, ordinata; ma senza dispense nè indulgenze, senza salvacondotti per i vecchi vassalli e valvassori. A partire, si capisce, dal Parlamento.
Primo: va segato il ramo su cui stanno inchiodati i professionisti del potere: due mandati e via con il vento.
Secondo: va rafforzato il referendum abrogativo, attraverso l’abolizione del quorum.
Terzo: va introdotto l’istituto del recall per revocare anzitempo gli eletti immeritevoli, come accade in California ma anche in diciotto stati dell’Unione e in Canada, Giappone, Svizzera e vari paesi latino-americani.
Quarto: serve una sede di rappresentanza degli esclusi – i giovani, le donne, i disoccupati, ma in fondo siamo tutti esclusi da questo Parlamento. Tale sede può ben essere il Senato, trasformandolo però in una “Camera dei cittadini” designata per sorteggio, in modo da riflettere il profilo socio-demografico del Paese. Un’isea bislacca? Mica tanto. Era affidato anche ai sorteggi, come formula per arginare prepotenze e pressioni, la stessa elezione del Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia. EAristotele diceva che l’elezione è tipica delle aristocrazie, il sorteggio delle democrazie.
Le vie d’uscita sono delle riforme visionarie che molto difficilmente verranno realizzate. D’altra parte, questa è una fase in cui abbiamo bisogno di riforme radicali: anzichè baloccarsi (lo facciamo da trent’anni) sulla riforma del bicameralismo (di cui, per carità, c’è bisogno), c’è un’urgenza più pressante a disinnescare i conflitti di interesse e a realizzare un’eguaglianza anche nella società politica, ricorrendo anche al sorteggio. Lo diceva già Montesquieu: il sorteggio “serve” l’idea dell’uguaglianza, è strumento dell’eguaglianza. Con il sorteggio siamo tutti uguali. Una delle proposte che avanzo è la Camera dei cittadini, non legislativa, ma propulsiva e di controllo sulle scelte legislative.
D.: Come rimedi, lei indica democrazia partecipativa, referendum senza quorum, la riforma delle camere. Inoltre propone l’introduzione del recall, la revoca dell’eletto immeritevole. Può spiegare meglio?
R.: Funziona in varie parti del mondo in modo diverso; il recall è uno strumento didemocrazia diretta che rende più autorevole la democrazia rappresentativa, dei consiglieri regionali, dei parlamentari: chi esercita un ruolo di potere deve renderne conto. La democrazia è un rendiconto sull’esercizio del potere.
Il recall mi consente di revocarti se io che ti ho eletto ritengo che tu sia – o sia diventato- immeritevole rispetto a quella carica; con alcune condizioni: funziona per i parlamentari eletti in collegi uninominali, per i sindaci, per i presidenti di regione. Negli Stati Uniti lo applicano anche ai giudici perchè sono elettivi, ai direttori delle scuole, ecc.
Non può essere consentito già all’indomani delle elezioni, altrimenti diverrebbe una nevrosi: bisogna stabilire un lasso di temporale, es. un anno, prima di poter utilizzare questo strumento. Inoltre, lo si può utlizzare o per una serie chiusa di cause, oppure per una serie libera. La richiesta deve provenire da una frazione significativa del corpo elettorale, per renderlo uno strumento serio.
D.: Circa l’eccesso di deroghe ed eccezioni alla regola, lei avanza la proposta che le leggi contenenti deroghe alla legge generale siano espressamente motivate. Può raccontare?
R.: Nel nostro ordinamento le leggi non devono essere motivate; in alcuni casi invece, come quando si tratta di introdurre una deroga, la motivazione è doverosa. Perchè? Il tiranno è colui che si può sottrarre alla regola senza doversi giustificare. Se tu ti sottrai alla regola ti devi giustificare, per principio di trasparenza: quantomeno mettici la faccia, dimmi perchè stai favorendo la lobby degli avvocati o dei petrolieri. Faccio una proposta ulteriore, più forte: quanto tu Parlamento-legislatore introduci una deroga, serve una maggioranza assoluta. Si tratta di rendere più difficile l’approvazione di deroghe, in questo caso servirebbe la metà più uno dei componenti l’assemblea. Esistono già delle tipologie in cui le maggioranze sono più alte: per l’amnistia e l’indulto ci vogliono i due terzi.
“La legge è uguale per tutti” è diventata una formula che sta scritta nei tribunali, se ci sono 63.194 norme di deroga, in realtà “la legge è disuguale per tutti”, allora occorre rendere più difficile il lavoro sporco.
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Un articolo stampa di Michele Ainis che ricordo sempre molto volentieri.




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