Pare che stia tornando la buffonata dell'autocertificazione richiesta nel primo coprifuoco:
L'autocertificazione
richiesta dalle forze dell'ordine con l'intento di contrastare la
diffusione del Covid-19 è un atto arbitrario in quanto
l'autocertificazione, o meglio, la dichiarazione sostitutiva di
certificazione è un atto che il cittadino può compilare e
sottoscrivere in sostituzione di un certificato rilasciato dalla
Pubblica Amministrazione.
Tale atto è regolato dal D.P.R. 28
dicembre 2000, n. 445 all'art. 46 che non elenca, fra gli stati e le
caratteristiche autocertificabili gli spostamenti, le frequentazioni,
e tanto meno le condizioni di salute come chiaramente esposto
all'art. 49 dello stesso D.P.R, condizioni di salute che sono
assolutamente personali e private.
Se non vi è neppure
l'obbligo di effettuare test per comprovare il contagio di una
malattia infettiva o virale, autocertificare ciò che non si conosce
è da considerarsi un reato ai sensi dell'art. 76 dello stesso D.P.R.
e dell'art. 495 comma 1 del Codice Penale.
Qualora tale
autocertificazione fosse prevista da un'ordinanza o deliberazione
regionale, o da un Dpcm, o da un Decreto Legge – anche se
convertito in Legge dal parlamento – sarebbe in contrasto, secondo
la gerarchia delle fonti del diritto, con una norma di valenza
maggiore e in ogni modo in conflitto con una legge esistente (il D.P.R. in questione)
Il D.P.R. 445/2000 (di tipo A) infatti è il testo
unico che contiene
l'insieme coordinato delle norme legislative e regolamentari
su una determinata materia e pertanto di valenza maggiore.
Per
rendere legale tale autocertificazione richiesta occorrerebbe che il
parlamento modificasse l'art. 46 del citato D.P.R.
In
caso di verbale redatto da pubblico ufficiale è diritto del
cittadino, a cui si contesta la/le violazione/i indicata/e nel
verbale, di fare inserire nell'apposito spazio le dichiarazioni che
ritiene opportune ed il pubblico ufficiale che nega tale diritto
commette reato ai sensi dell'art. 328 del Codice Penale.
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