Copio e incollo
Quindi, dopo esattamente un anno siamo nelle stesse condizioni di prima. Necessità di chiudere tutto ciò che non è indispensabile, dai negozi di abbigliamento ai parrucchieri e centri estetici, piscine e palestre mai aperte, scuole ancora una volta chiuse.
Il virus non si ferma, cambia, si modifica, crea mutazioni: insomma, fa ciò che da milioni di anni fa un virus ad RNA. È la sua natura.
Il problema è cosa fa l'essere umano. Di fatto distrugge l'umanità.
In un anno ho capito che l'essenziale, nella vita di un uomo, è il lavoro. È l'unica cosa che va realmente protetta. Non i lavoratori, sia chiaro: il lavoro. E solo un certo tipo di lavoro, non tutto. Hanno diritto a lavorare solo coloro che svolgono servizi essenziali: grandi fabbriche, grandi industrie, supermercati. Questi lavoratori possono prendere mezzi pubblici fatiscenti, possono stare in un metropolitana affollata, possono esporsi serenamente ai virus e portarlo a casa. Senza restrizioni particolari. Senza vincoli. In alcuni casi possono anche continuare a lavorare, senza andare in isolamento fiduciario, se un loro collega è positivo: basta fare il tampone e avere risultato negativo.
Poi ci sono le categorie cattive, quelle che facilitano il contagio, quelle che diffondono il virus. Sono, non so perché, tutte le categorie collegate alla parte più "umana" della persona, al suo aspetto non produttivo ma emotivo, non al soldo ma al piacere: palestre, piscine, teatri, cinema... Tutto ciò che ha a che fare con la cura del sé (non solo fisica) sono chiuse. Perché diffondono il virus. Sono chiuse da un anno però. Ed oggi siamo punto e a capo. E questo dovrebbe farci riflettere su cosa sia davvero stato fatto, in un anno.
Tra l'altro, i lavoratori di questi settori sono lavoratori anche loro: da quelle attività non essenziali ricavano soldi essenziali per poter sopravvivere. Senza i quali, muoiono. E non di virus.
Poi, ci sono gli ultimi, quelli che non contano nulla: i ragazzi. Gli unici colpevoli di tutto. Eppure sono quelli ai quali sono stati chiesti più sacrifici. Da un anno hanno una vita in sospeso, in perenne bilico tra in ed out. Hanno fatto di tutto, pur di andare a scuola: hanno tollerato controlli continui, mascherina per 8 ore al giorno, hanno imparato a convivere con la paura di una malattia, a vedersela davanti agli occhi tutti i giorni (la mascherina, l'igienizzazione portano l'attenzione sempre e sono sulla malattia). Hanno rinunciato allo sport, a festeggiare un compleanno, ad incontrare gli amici. Hanno imparato a non abbracciare nessuno ma anche a non farsi consolare con un abbraccio quando stanno male. Hanno imparato a bastare a loro stessi, perché la rete sociale ed amicale che dovrebbe essere il loro sostegno nella crescita improvvisamente è sparita. Non solo: non si sa se mai tornerà. Tutto per poter andare a scuola, unico posto dove avrebbero potuto avere un po' di "normalità". Ma ora, per l'ennesima volta, la scuola chiuderà, perché la scuola fa aumentare i contagi. Come le piscine chiuse da un anno.
Forse la scuola chiusa farà diminuire i contagi, forse ci abitueremo a non andare a cinema, a teatro, ad un concerto.
Forse i contagi caleranno, anche se dopo un anno ho forti dubbi.
Ma quando riaprirà tutto, quando tutto sarà finito (il famoso chiudiamo oggi per abbracciarci ...quando?) Chi raccoglierà i pezzi nei quali sono stati smembrati gli uomini ed i ragazzi soprattutto?
Perché io ancora non ho sentito una che sia una proposta di cura per i danni psicologici che, dopo un anno, stanno dilagando a macchia d'olio. Che non si evitano con una mascherina e che non si curano con un po' di soldi una tantum.
Ma che incideranno molto anche sulle attività produttive essenziali che i nostri politici tentano di salvaguardare. Perché tutte le attività sono sempre fatte da esseri umani. E non dalle macchine nelle quali tentano di trasformarci, per evitare la diffusione del virus. Che continuerà a diffondere come da milioni di anni a questa parte.>>
Cit. Mirta Molesta
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